La pipa di Frastanite
Milano, anno 2014
Calogero, dopo aver
girato un paio di volte tra gli ampi cortili per trovare il numero del
portellone corretto, prese finalmente dalle tasche la chiave che aveva trovato
assieme alle indicazioni del garage. Nei giorni precedenti aveva maturato una
certa curiosità per quello che avrebbe potuto trovare in quel magazzino nella
periferia della città. Non era riuscito ad andarci prima perché era stato
impegnato con tutte le altre pratiche più imminenti, relative all'eredità del
padre appena defunto.
Quando entrò e
lasciò che la vista si abituasse al buio dello stanzino, non poté fare a meno
di sorridere realizzando che quel posto era stato destinato, dal suo vecchio,
esclusivamente alla raccolta della sua enorme collezione di pipe. «Come se non
ne avessi già trovate a sufficienza sparse per la casa», pensò Calogero.
Iniziò a curiosare
tra gli scaffali, con una certa ironia. Nonostante avesse sempre disapprovato
quel vizio del padre, unito al collezionismo maniacale, non poteva fare a meno
di trovare un certo fascino in tutti quei piccoli pezzi di radica dalle forme
più svariate.
Prese, dentro di se,
ancora una volta un po' in giro il padre per quella ossessione di comprare
centinaia di pipe, che nemmeno aveva il tempo di fumare. Diceva che ne era
attratto esteticamente, lo "chiamavano". E quando Calogero gli faceva
notare che molte parevano uguali tra loro, gli rispondeva: «mi piacciono le
microvariazioni».
Finì per guardare
dentro una scatola polverosa, riposta in una mensola più alta, dove c'erano
alcune pipe, ognuna dentro la propria custodia rigida. Aprendone qualcuna, vide
che erano di un colore bianco seppia, in un materiale diverso dalla solita
radica.
Rimase colpito da
una in particolare, la trovava vagamente inquietante. Il fornello aveva la
forma di una testa composta da due mezzi volti. la metà raffigurava un uomo
barbuto, che sembrava provenire da secoli addietro e l'altra metà un volto di
donna, triste, angosciato, con incastonata una perla rossa nell'occhio.
Continuò a fissare
questa perla, come rapito, quando una luce rossa invase improvvisamente il
piccolo garage.
Regno di Tuskar,
anno 1613
Emeliah, col volto
parzialmente celato dal suo velo color ocra, spazzava il pavimento di casa.
Era un pomeriggio
particolarmente torrido a Ismabul, ella compiva ritmicamente i suoi movimenti,
ma i pensieri sembravano vagare altrove. Le sue esili braccia mostravano dei lividi e lo sguardo- rivolto
al laboratorio del suo uomo, Mercurium, al di la del cortile- era intriso di rabbia
e disprezzo.
La vita di Emeliah
era sempre stata colma di sofferenze, gran parte causate dalle figure maschili
della sua vita. Il suo temperamento ribelle e orgoglioso male si adattava ad un
mondo dove le donne parevano esistere solo per obbedire al volere degli uomini,
veri dominatori dell'antico regno di Tuskar.
Il padre era un
nobile della città di Eskasam, ad Est dell'impero, vicino alla capitale. Era la
sua unica figlia, ed egli a modo suo l'amava. Ma era un uomo di indole lunatica
ed iraconda e nel regno di Tuskar una donna doveva essere fiera di poter
servire da valvola di sfogo occasionale di un uomo. Era segretamente dedito
alle arti occulte, pratica severamente vietata dal sovrano, e non risparmiava
ad Emeliah delle punizioni crudeli quando lei – da sempre curiosa e
particolarmente sagace- osava ficcare il naso nei suoi laboratori.
A ventun anni, la
diede in sposa a Tolloius, valoroso guerriero del sovrano, che la condivideva
con altre tre mogli. Il suo temperamento troppo poco remissivo e indipendente
non l'aveva mai resa simpatica alle altre tre consorti, che la tenevano quanto
più distante possibile. Ma Emeliah invece di soffrire per questa emarginazione,
sembrava riderci sopra beffarda e questo atteggiamento contribuiva ad
indispettire ed inquietare le sue tre coinquiline.
Anche Tolloius non
apprezzava certi tipi di atteggiamenti in una femmina, ma l'indipendenza di
Emeliah era molto sottile, non esibita, ed Egli non aveva certo il tempo,ne
l'attitudine, di scrutare a fondo la
personalità delle proprie mogli.
Le cose peggiorarono
quando Franska, una di loro, giurò al valoroso guerriero di avere più volte
scoperto Emeliah mentre praticava degli strani riti con amuleti e libricini.
Tolloius, adirato, rovistò tra tutte le sue cose e alla fine trovò quello per
cui era stata accusata. Andò su tutte le furie e al grido di
"strega!" inizio a picchiarla selvaggiamente
Franska e le altre
due spiavano impaurite la scena dalla porta socchiusa delle loro camere.
L'inquitetudine si trasformò in orrore quando nello sguardo di Emeliah, mentre
veniva picchiata, vi scorsero, tra le smorfie di dolore, un sorriso beffardo e
crudele.
Da quel giorno, le
tre mogli di Tolloius non rividero più Emeliah. Egli non ne parlò più e nessuna
di loro tre osò chiedere qualcosa in merito.
Nessuno seppe come,
ma Emeliah si ritrovò a Ismabul, una cittadina sul mare all'estremo Ovest del
regno, lontana dalla capitale e dalla sua influenza, luoghi in cui ci finisce
molta gente a cui non piace che vengano fatte loro domande.
Nonostante la sua
forza e il suo orgoglio, era consapevole che in quelle terre una donna sola non
aveva molte speranze di sopravvivere, così finì per farsi prendere come amante
da Mercurium, un artigiano della città. Egli scolpiva pipe per fumare ed altri
oggetti con un particolare materiale che egli stesso estraeva tra le insenature
rocciose della costa: la Frastanite.
Oltre che artigiano
e scultore, Mercurium era noto per essere un poco di buono. Si diceva che
gestisse dei traffici di materie prime e pietre preziose rubate e viveva dunque
piuttosto isolato tra la sua abitazione e il laboratorio oltre il cortile,
dedicandosi - oltre che alle sue sculture- all'alcool, al fumo di pipa e agli
altri affari più loschi. Ad Emiliah stava bene così. Dato i suoi trascorsi e le
accuse di stregoneria, voleva stare più lontana possibile dalla gente e farsi
notare poco.
Nonostante quello
che aveva passato, Emeliah non aveva abbandonato l'interesse per le arti
occulte, teneva ancora con se tutti i libriccini con appunti rubati al padre ed
esperimenti fatti da lei stessa. Quando Mercurium era fuori casa, ella si
intrufolava nel laboratorio e studiava i segreti e le potenzialità nascoste
delle pietre e delle gemme con cui l'amante trafficava. Ma in particolare era
attratta da quello strano materiale, la Frastanite. Era un minerale duttile, ma
resistente, pareva essere immune dalle fiamme. Spiava Mercurium mentre fumava
le sue pipe bianche. Col tempo, il colore immacolato iniziale, si riempiva pian piano di segni sempre più
scuri e ad Emeliah, pareva che quei disegni misteriosi rivelassero l'anima del
suo fumatore.

Una sera, dal
laboratorio si udì un grido. era un grido di gioia, anche se metteva i brividi.
Veniva da Emeliah, era forse riuscita in un incantesimo cui da tempo studiava e
sperimentava senza successo. Tra le mani aveva una pipa che lei stessa aveva
intagliato dal blocco di Frastanite, raffigurava una testa composta da due
mezzi volti: quello del padre -primo uomo che ha odiato e archetipo di tutti
gli altri- e quello suo. Nell'occhio del suo mezzo volto aveva conficcato una
piccola pietra rossa che, chissà per quale arcana ragione, continuava a
brillare.
Emeliah sentì
aprirsi la porta alle sue spalle, il suo riso si tramutò in sgomento e un
brivido le corse lungo la schiena. Presa dalla gioia del suo esperimento
riuscito, non aveva udito Mercurium che tornava. Assieme a lui c'erano altri
due uomini che la guardavano contrariati.
«Mercurium, è così
che tieni cura delle nostre pietre preziose? Facendole maneggiare da questa
donna?» disse uno di loro
«vi chiedo perdono,
questa scellerata è la mia amante, si occupa del mio piacere e della cura della
casa. Per dimostrare tutto il mio disappunto per questa offesa, le toglierò
immediatamente la vita, io stesso».
Nell'udire queste
parole e vedendo Mercurium estrarre il pugnale dalla fondina, Emeliah si
irrigidì di terrore, ma fu solo un attimo, pensò a quello che aveva appena
creato, strinse forte la pipa che aveva in mano e rise, mentre Mercurium con
rabbia le tagliava la gola.
Una luce rossa
improvvisamente illuminò il laboratorio e i volti stupiti dei tre uomini, fino
a che venne risucchiata completamente dalla gemma incastonata nella pipa.
Milano, anno 2014
Calogero continuava
a chiedersi per quale ragione si fosse messo a rovistare tra i cartoni per
cercare del tabacco. Non era mai stato
un fumatore e in tutti gli anni di frequentazione delle pipe del padre, non gli
era mai passato per la mente di provare ad accendersene una. Adesso, dopo aver
rimirato per un po' quella strana pipa bianca coi due mezzi volti, gli era
venuta improvvisamente voglia di provare a fumarla.
Trovò una busta
verde a quadretti con uno stemma rosso come logo. «Questa andrà bene», pensò.
L'aprì e ficco il tabacco dentro la pipa, stupito lui stesso per la naturalezza
con cui compiva quel gesto mai fatto prima. Accese un fiammifero e finalmente
imboccò la pipa avvicinando la fiamma al fornello.
Appena emise i primi
sbuffi di fumo, la gemma rossa si illuminò. Calogero si sentì come bruciare
dentro, cadde a terra divincolandosi senza capire cosa gli stesse succedendo.
Di colpo si calmò.
La gemma rossa aveva smesso di splendere, si alzò da terra con un sorriso
crudele e trionfante. « Ce l'ho fatta! La mia anima è ora nel corpo di un uomo!
Non so quanto tempo è passato.» Emeliah, incarnatasi nel corpo di Calogero uscì
dal portone metallico del garage e di fronte ai suoi occhi increduli, gli si
rivelò una distesa grigia infinita. Asfalto e blocchi di cemento quadrati,
tutti uguali, disposti uno accanto all'altro. Quello che vedeva era l'ampio
cortine, coi garage a cui quella zona periferica era stata destinata.
«In che razza di
epoca mi sono ritrovata...» «Ma non importa, quello che conta è che ora sono un
uomo. Per tutta la vita ho subito l'ingiustizia di nascere donna e finalmente
posso far parte della specie dei dominatori e fare quello che voglio!»
All'improvviso una
figura femminile arrivò e si fermò di fronte ed Emeliah. Non capiva che razza
di abiti indossasse, non ne aveva mai visti di simili. La donna continuava a
guardarla e lei rimase per qualche istante in silenzio, senza sapere cosa dire,
quando si ricordò che ora lei era un uomo e poteva fare quello che voleva.
Non fece però tempo
a parlare che la donna la anticipò: «Calogero! Ma cosa stai facendo imbambolato
davanti a quella porta? È tutto il giorno che ti aspetto! Dovevi venire a
vedere se c'era qualcosa di valore in questo garage di tuo padre, vediamo che
c'è qui dentro..»
«Ecco! Pipe pipe e
ancora pipe, cosa speravi mai di trovare. Dai, adesso muoviti che devi passare
a prendere i bambini a scuola e poi devi ritirare la mia macchina dal
carrozziere.. e smettila di stare fermo li come uno scemo, andiamo!»